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Astrazione, concretezza e narratività della danza in scena al Teatro dell'Opera

> Leonetta Bentivoglio svela Jiří Kylián, Johan Inger e William Forsythe nell’incontro I ballerini, i coreografi e noi

Critica Spettacoli
Luogo
Teatro Costanzi
Piazza Beniamino Gigli, 1
Roma (RM)
Quando
04/03/2018
Genere
Moderno/Contemporaneo
Claudio Murabito



Astrazione, concretezza e narratività della danza in scena al Teatro dell’Opera
Leonetta Bentivoglio svela Jiří Kylián, Johan Inger e William Forsythe
nell’incontro 'I ballerini, i coreografi e noi'

Il trittico andrà in scena al Teatro Costanzi
da giovedì 15 a mercoledì 21 marzo 2018
e
mercoledì 14 marzo 2018
nell’anteprima giovani con ingresso “Vietato ai maggiori di 26 anni”.



di Claudio Murabito
(nell’ambito del progetto alternanza scuola-lavoro tra Dance&Culture e il Liceo Coreutico del Convitto Nazionale di Roma, classe V)

Domenica 4 marzo nel Foyer del Teatro dell’Opera di Roma, Leonetta Bentivoglio ci accompagna alla scoperta del nuovo Trittico Coreografi che andrà in scena al Teatro Costanzi dal prossimo 15 marzo.

Giunto al secondo appuntamento della stagione, il progetto divulgativo I ballerini, i coreografi e noi della Fondazione del Teatro dell’Opera, introduce e spiega al pubblico i balletti che saranno in scena nel nuovo Trittico firmato Jiří Kylián, Johan Inger e William Forsythe. Con la guida della storica della danza Leonetta Bentivoglio seguiamo le molteplici tematiche che accomunano i tre balletti di questi miti della danza contemporanea, nella sua accezione temporale e tecnica.

Petit Mort, Walking Mad e Artifact Suite sono questi i titoli scelti rispettivamente per ciascun coreografo in una serata legata da molteplici fili rossi: innanzitutto, il Netherlands Dance Theatre, ambiente in cui hanno agito e si sono distinti, ognuno con cariche e influenze diverse, i tre danzatori le cui carriere sono indissolubilmente legate; in secondo luogo, il tema del pas de deux, che nella danza classica è emblema dell’amore, del dialogo di coppia e che ha una forma ben strutturata e consolidata nel tempo. Tutti e tre i balletti scelti ci parlano delle emozioni e delle sensazioni umane, stravolgendo la concezione canonica di pas de deux per rappresentare un rapporto dualistico e a volte conflittuale tra uomo e donna che ora si traduce nell’istinto sessuale di Petit Mort, espressione francese che in italiano si traduce con orgasmo, ora nella triplice, e in alcuni momenti dannosa, relazione di Walking Mad, ora nella freddezza ‘’anaffettiva’’, per usare le parole della Bentivoglio, delle forme spigolose di Artifact Suite. In terzo luogo, la possibile narratività di una danza contemporanea, in cui le coppie si prendono e si lasciano in un astrattismo che forse non è poi così autentico. Se è vero che non è presente uno sviluppo narrativo, siamo sicuri che non ci sia proprio nulla da raccontare? In che modo Kylián o Forsythe trasmettono il loro messaggio?

Secondo la storica della danza, a differenza di altri grandi del Novecento, i due coreografi sono ‘’introversi’’. Mentre Bejart o Petit hanno portato sulla scena un pensiero, filosofico o politico che sia, in modo esplicito, la differenza che passa tra quest’ultimi e i due protagonisti del Trittico è la stessa che c’è tra la prosa e la poesia: se nella prima il messaggio è chiaro e manifesto, nella seconda sfiora e richiama appena dei pensieri, senza dare didascalie, per un’interpretazione obbligata e univoca. Kyliàn e Forsythe sono ‘’esploratori delle essenze, si muovono dall’esterno di una forma, la danza, verso un interno umano’’.

Il Corpo di Ballo del Teatro dell'Opera di Roma in sala prove - © Yasuko Kageyama


Sono proprio queste le sfumature intimiste che Kylián tratteggia nel suo Petit Mort. Nato nel 1991 su commissione del Festival di Salisburgo, in occasione del bicentenario della morte di Mozart, presenta come colonna sonora i brani tratti dai concerti per pianoforte e orchestra K488 (Adagio) e K467 (Andante) scritti dal compositore austriaco. ‘’Sei uomini, sei donne e sei fioretti’’. Niente di più sulla scena: solo vari pas de deux per rappresentare la dolcezza, la forza e la violenza della sessualità. È grazie all’intervento di Cora Bos-Kroese, che si sta occupando di rimontare la coreografia per il Teatro dell’Opera, che è possibile comprendere come il pensiero del coreografo si traduca in forma. Indubbiamente la parte alta del corpo, il torso, funge un ruolo importante nel respiro del movimento, come se tutto prendesse vita dal busto che irradia la sua energia verso le estremità. Vi è, inoltre, una forte tendenza verso il pavimento, verso la terra, che rappresenta la parte selvaggia degli istinti umani. Proprio questa attrazione verso il basso, a differenza della danza classica che ha come obiettivo l’elevazione e la sublimazione della figura, danno a una compagnia di forte base classica non poche difficoltà, come ha fatto notare la Bos-Kroese.

Se Kylián si fa promotore delle emozioni umane, in Forsythe avviene l’opposto. Attraverso una destrutturazione e ricostruzione della danza accademica in nuove forme, vi è una ‘’disumanizzazione’’ della tecnica. La difficoltà d’esecuzione arriva al limite delle capacità del danzatore e in tutto ciò vi è un certo distacco emotivo, non c’è alcuna trasmissione di sensazioni. In Artifact Suite, riduzione del balletto a serata intera ‘’Artifact’’, realizzato nel 1984, già il titolo ci permette di comprendere cosa si vedrà in scena: un artefatto, una creazione di linee e forme, non c’è nulla di spontaneo. Solo la danza che parla di se stessa. Con il suo nuovo uso delle punte, nonostante sia un contemporaneo, Forsythe ‘’rappresenta l’ansia del nostro tempo, la ricerca di nuovi equilibri, […] prende l’ingranaggio danza classica e lo depura da svenevolezze e decorativismi’’ sottolinea la Bentivoglio, completando il processo iniziato da Balanchine.


Il Corpo di Ballo del Teatro dell'Opera di Roma in sala prove - © Yasuko Kageyama


Con l’arrivo di Carl Inger, fratello e assistente dell’autore di Walking Mad, si giunge al punto di arrivo del complesso filo logico che si intreccia nello spettacolo. La coreografia di Inger, infatti, si trova a metà strada su quella scala che ha come estremi l’introversione e l’estroversione del coreografo, il suo modo di rappresentare più o meno chiaramente il messaggio da trasmettere.
Balletto nato nel 2001, su musiche dell’ossessivo Bolero di Ravel, mette in scena, attraverso l’uso di un muro che muta costantemente la sua forma, le vicende psicologiche di tre donne o di tre fasi della vita di una stessa donna, interpretazione, quest’ultima, che secondo le parole di Carl Inger è libera e personale. La prima è una donna curiosa, che vuole esplorare il mondo intorno a sé e le infinite possibilità di relazioni che esso le presenta; la seconda è legata sentimentalmente ad un uomo che non le rende la vita facile; la terza e ultima, invece, è una donna in pace con se stessa che non desidera più nulla, mentre l’uomo la spinge costantemente ad aprirsi alle novità, alle esperienze della vita. Fulcro di queste vicende/non-vicende, per restare sul tema dell’astrattismo, è il muro. Il muro della relazione e conflitto con il proprio io e con le relazioni interpersonali, un muro che si materializza tridimensionalmente sulla scena e si fa scena. Tuttavia, potrebbe essere interpretato anche come un muro fisico tra popoli, come ha ricordato la Bentivoglio, in una giornata elettorale come quella del 4 marzo molto importante per il futuro del Paese. Su questo problema è venuto in aiuto lo stesso Inger, che interpellato dalla conduttrice dell’evento, ha riportato l’interpretazione del muro alla dimensione puramente psicologica.

Cambia di nuovo la tecnica espressiva, in questo caso quella della danza contemporanea, ma il tema della coppia, come nei due balletti precedenti, ritorna prepotentemente. Ritorna la ricerca della terra e, ancora una volta, ha ricordato il coreografo, si ripresentano le difficoltà per una compagnia di danzatori classici, come quella del Teatro dell’Opera, di calarsi in un linguaggio prettamente contemporaneo.


Carl Inger in sala prove al Teatro dell'Opera di Roma - © Yasuko Kageyama


Una nota di colore che ritroviamo in Walking Mad è l’humor che connota tutto il pezzo, humor che lo stesso Carl Inger si sente in dovere di riconoscere al fratello nel momento in cui gli viene chiesto quali siano le principali caratteristiche della tecnica compositiva di Johan. Ma in questo balletto c’è anche una riflessione importante sulla condizione della donna che viene trasmessa sottotraccia allo spettatore, una donna libera da se stessa e con se stessa.

Ormai giunti alla conclusione dell’incontro, Leonetta Bentivoglio fornisce un brillante spunto di riflessione sull’uso delle calzature e dei piedi nella danza e di come si potrebbe raccontare la storia della danza del Novecento semplicemente seguendo le scelte che ogni coreografo ha adottato nelle sue creazioni. Dai piedi scalzi della danza libera, passando per il nuovo uso ‘’rock’’ delle punte nel neoclassicismo di Forsythe, arrivando alla scelta delle calzature comuni del Teatrodanza di Pina Bausch.

In questo spettacolo si parla di una danza che si rinnova, che rinasce dalle sue ceneri, e che dà nuova vita a tecniche che si credevano ormai esaurite nelle loro spinte creative e compositive. Si parla di coreografi che riprendendo certi schematismi classici elaborano nuovi linguaggi, in un contesto, come quello del Novecento, che sembrava aver bandito il concetto di narratività dalle sue opere d’arte. Si parla di astrattismo, non del tutto puro, come abbiamo visto, in uno spettacolo che mette a nudo la psicologia umana e di coppia, raccontando emozioni, passioni ed esperienze. Così, dopo aver compreso l’imponente sostrato del Trittico Kylian, Inger, Forsythe e udito le affermazioni di coreografi e assistenti circa le difficoltà di esecuzione di tali balletti per una compagnia che non sia espressamente contemporanea, siamo adesso impazienti di vedere di cosa saranno capaci i danzatori del Teatro dell’Opera in scena con la nuova produzione dal prossimo 15 marzo.
 


LE FOTO SONO DI: Yasuko Kageyama - Teatro dell'Opera Roma

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