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Mauro de Candia

L'intervista
Quando
30/05/2022
Genere
L'intervista
Nel 2015 e nel 2017 viene nominato “Coreografo dell’anno” dalla rivista tedesca online Tanznetz.
Nel 2017 la rivista tedesca TANZ lo seleziona come uno dei 30 artisti a livello internazionale che si sono distinti per la stagione 2016/17.
Nel giugno 2009 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli conferisce la medaglia d’argento di Rappresentanza. 
Dal 2012 sino al 2021 a soli 31 anni viene nominato direttore artistico e coreografo principale della Compagnia di ballo del Teatro di Osnabrück.

Mauro de Candia, coreografo graffiante, permeato da un melting pot esperenziale che lo ha portato a confrontarsi con i più grandi coreografi della seconda metà del Novecento come Maurice Bèjart, William Forsythe, Jiri Kylian, Mats Ek, Ohad Naharin, Marco Goecke.
Ha una cifra coreografica sempre in continua trasformazione emozionale, che rende unico ogni suo lavoro. Cambi di prospettive, scelte musicali spesso originali e in controtendenza con l’attuale panorama della danza contemporanea. 
Ora ironico e gioioso, ora intenso e toccante, narrativo, astratto, sono questi i mille aspetti di un lavoro che non ha mai deluso le aspettative.
Meraviglioso il suo innovativo, raffinato Schiaccianoci, così come geniale e divertente lo spettacolo Pachuco.
Sorprende de Candia, non annoia, ogni volta stravolge il linguaggio coreografico, ha quella sana curiosità nell’indagare i corpi di ogni singolo danzatore, riuscendo a evidenziare l’unicità di ognuno e dare al tempo stesso omogeneità all’ensamble, estremamente raffinato anche quando vuole essere sopra le righe con la sua provocatoria e marcata ironia. 

Dopo Osnabrück, quale altra direzione ha in previsione?
In realtà, la mia intenzione sarebbe quella di prendermi un anno per riflettere e pensare in merito ad alcune proposte.
Talvolta, per ricaricarsi e intraprendere nuovi percorsi è anche necessario fermarsi, per trovare o ritrovare nuovi spunti, ripensare a nuove progettualità. 
Insomma, avevo previsto un anno di riposo, invece, il lavoro mi ha chiamato e, devo essere sincero, non lo avevo previsto.

Quindi, dove la sta portando il 2022?
Mi ha portato in Olanda dove, il 18 e 19 febbraio, Introdans ha realizzato uno spettacolo dedicato ai 50 anni della compagnia, con un programma che prevede, oltre alla mia Morte del cigno, lavori di Regina van Berkel, Mauro Bigonzetti, Thierry Malandain, Ed Wubbe.
Sempre a febbraio sono stato a Londra su invito di Viviana Durante, che oggi è la direttrice dell’English National Ballet School, per realizzare una mia creazione per il Professional Trainee rivolto a ragazzi dai 18 ai 22 anni. La serata è un trittico a firma mia, di Juan Eymar e di un coreografo di estrazione Hip Hop, Joseph Toonga. Il mio lavoro si intitola Velve ed è stato pensato per sole donne. Il velluto è un elemento teatrale importante, una metafora del Teatro, quel luogo dove la competizione è sottile ma sempre presente. In fondo, in scena siamo tutti prime donne.
 
Si aspettava questa chiamata da Viviana Durante?
Noi ci siamo conosciuti in Puglia nel 2009, in occasione del Premio Internazionale ApuliaArte di cui ero direttore artistico, e quell’anno l’abbiamo premiata. Si è creato un legame tra noi e quando ha avuto occasione mi ha chiamato. Mi ha chiesto anche di tornare per il 2023.
È sempre gratificante poter collaborare con una professionista come Viviana Durante, che in inghilterra è considerata la ballerina british per eccellenza.
 
Febbraio, Marzo, poi c’è altro in programma?
Il 15 Aprile, in Russia, all’Alexandrinsky Theater di San Pietroburgo, in occasione del Dance Open International Ballet Festival, è previsto il Gala conclusivo del festival che ospita compagnie provenienti da tutto il mondo: prevede il “best of”  dei ballerini più osannati dal pubblico. La direzione del festival, che in passato ha già invitato per ben due volte la compagnia da me diretta, ha voluto inserire la mia pièce Claveles Negros, che verrà danzata dal Dortmund Ballet, quest’anno presente anche nella programmazione.
Il 21 aprile, a Bruxelles in Belgio, presso l’Aula Magna di Louvain la Neuve, l'Europa Danse Company, una storica compagnia con sede a Bruxelles formata da studenti che provengono da tutta Europa di cui ho fatto parte insieme ad altri coreografi oggi famosi, porta in scena un mio lavoro Rebelles Infantines, con replica il 25 e 26 maggio, mentre il 27 aprile, sempre in Belgio, al De Grote Post, di Oostende, lo Junior Ballet Antwerp si esibirà con Winte,  in replica il 2 giugno, sempre in Belgio, allo Schouwburg, di Kortrijk.
 
Un periodo, quindi, che l’ha colta di sorpresa in un momento ancora incerto e delicato?
Decisamente un momento molto diverso da come lo avevo immaginato, decisamente gratificante, dal momento che il lavoro e i progetti che io stesso avevo avviato con i giovani mi appassionano particolarmente; è un altro aspetto della mia professionalità che amo portare avanti. Oggi nessuno sa o ha compreso bene come organizzare e pianificare il lavoro, si fanno piccoli passi alla volta.
Anche in Germania i colleghi stanno vivendo alla giornata e, per chi è abituato a pianificare e programmare con largo anticipo, questa situazione è inimmaginabile.
 
Quali sono, secondo lei, le problematiche da affrontare nella Danza?
Quello che ho colto in questi ultimi anni è che la creatività, spesso, ha a che vedere con la necessità di affrontare temi sempre più determinati dalle mode del momento, dinamiche a volte contorte che lasciano poco spazio al know-how ma strizzano l’occhio al ”fashion”, al “politically correct“. I consigli di amministrazione sono sempre più esigenti, entrano anche nel merito artistico, c’è una regressione rispetto ai principi di libertà che sono necessari per lo sviluppo della creatività.
 
Cosa richiede, invece, la Danza?
Generosità, abnegazione, apertura mentale, predisposizione ad accogliere e predisposizione al cambiamento.
Proviamo a chiudere gli occhi e immaginiamo un passo a due, una presa, un salto che accoglie in volo il patner, significa affidarsi; il corpo per esprimersi ha bisogno di spazio ma, allo stesso tempo, di intimità.
Immaginiamo, ora, un gruppo di danzatori a cui si richiede di muoversi all’unisono: da parte di tutti  deve esserci la disponibilità a non avere protagonismi, a non eccedere, per il bene del lavoro di tutti e non del singolo. La Danza non è per tutti, dal punto di vista professionale, ma tutti possono approcciarsi alla Danza. Il talento, da solo, non è sufficiente a fare di uno studente dotato un buon danzatore; è necessario fornirgli i giusti strumenti, il linguaggio sostanziale affinché possa forgiare la sua personalità e la qualità del movimento.
 
Quale sarebbe un suo consiglio?
Credo che il mio, più che un consiglio, sia una richiesta rivolta a tutti coloro che insegnano danza.
Appurato che la danza non potrà essere una professione per le migliaia di ragazzi che la praticano, gli insegnanti, prima ancora di essere coloro che spiegano passi, sono educatori.
Educare consiste anche nel far comprendere il valore di un’arte, spronarli ad essere curiosi, a conoscere e, quindi, ad andare a teatro a vedere la danza, qualsiasi genere di danza. Imparare a riconoscere i propri limiti e le peculiarità dei compagni. Il rispetto, l’educazione, la cura della propria persona quando ci si presenta in classe sono modalità che sviluppano il senso civico e la buona convivenza. La società è sempre più aggressiva, intollerante, c’è bisogno di ripristinare regole che portino al rispetto e all’inclusione e questo è compito di qualsiasi insegnante, che insegni danza, musica o filosofia.
Insegnare ad amare la danza, soprattutto in Italia, forse potrà anche tornare utile ad aiutare quest’arte ad avere l’attenzione che merita.
 
Qual è il suo sogno nel cassetto?
Semplicemente continuare il mio lavoro di coreografo, poter esprimere la mia creatività, come ho potuto fare sino ad oggi, cioè poter esercitare la mia libertà.
 
Monica Ratti