Il coreografo israeliano di base a Londra, attraverso il suo marchio distintivo ed esilarante, presenta uno spettacolo che combina insieme danza, teatro e musica guardando al passato e aprendo al contempo nuove strade.
Grand Finale è allo stesso tempo comico, cupo e meraviglioso, evoca un mondo in caduta libera, pieno di energia anarchica e commedia violenta. Una danza ai confini del mondo al suono dell’apocalisse, che potrebbe sembrare distopica, ma con il tipico ‘black humour’, firma del coreografo, nasconde un ottimismo leggero e fiducioso. È il talento di Shechter quello di analizzare ed esorcizzare, allo stesso tempo, i demoni del nostro presente.
“In ogni spettacolo tento di catturare il senso del tempo presente e di capovolgerlo, di mostrarne l’inverso – spiega Shechter -Nelle immagini e nelle sensazioni di Grand Finale riecheggia qualcosa del caos che ci circonda. Noi, in quanto spettatori, non dobbiamo far altro che lasciarci trasportare dalle immagini e dalle emozioni, abbandonarci alla provocazione, al divertimento e dedicarci all’osservazione. La sensazione che tutto stia arrivando alla fine, accompagnata da un senso generale di panico, galleggia intorno a noi. Come se tutto stia andando fuori controllo. Mi incuriosiva questo stato d’animo caotico. Vi è sempre un finire delle cose che ci permette poi di ricostruire e di rimettere i pezzi insieme ma solo per giungere a un nuovo collasso. Questa sensazione di ‘fine’ è, in realtà, infinita e ciclica. Pensando al momento di crisi in cui viviamo, nessuno di noi si sente personalmente responsabile, siamo tutti osservatori. Ma in realtà ognuno è responsabile a suo modo”.
Eseguita da una potente tribù di dieci danzatori accompagnati da sei musicisti, la coreografia si completa della colonna sonora a cura dello stesso Shechter e si mescola al set ricco e spiccatamente teatrale, fatto di elementi mobili di Tom Scutt in questa audace e ambiziosa nuova opera.
“Gestire questi diversi elementi sulla scena, la musica e la danza – prosegue - è una vera fonte d’ispirazione per me. I musicisti sono fantastici nel loro essere totalmente aperti alla sperimentazione. Indipendentemente da ciò che accade in scena, non si lasciano prendere dal panico, continuano a suonare e a portare sulla scena amore e armonia. In sala prove abbiamo discusso a lungo sul significato di una rete d’interazioni umane, sul modo in cui siamo tutti connessi e su come le nostre decisioni si influenzino vicendevolmente. Abbiamo lavorato a lungo sulle sequenze di gruppo in cui tutti i danzatori e i musicisti cooperano. La musica sarà per sempre in grado di riunire le persone e credo che questo sia il suo più grande potere. Quanto alla scenografia l’idea era quella di creare un ambiente/universo solido e rigido, ma allo stesso tempo flessibile, come fatto di niente. Tom ha apportato la sua visione rispettando i miei feedback. Desideravo un’esperienza pura, chiara per lo spettatore. Non volevo che lo sguardo fosse catturato da elementiartificiali/tecnici ma che prevalesse l’aspetto onirico”.
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