Il senso di Godani per la Danza
Visioni futuribili di scenari paralleli e contrastanti
di Angela Testa
Signore e Signori non sarò breve, perché dare una lettura dei contenuti dell’ultima creazione di Jacopo Godani per la Dresden Frankfurt Dance Company, Symptoms of development, e della stratificazione dei suoi significati non è cosa da riassunto Bignami. Ovvero, potrebbe anche esserlo ma non lo merita. Per cui mettetevi comodi e godetevi lo spettacolo!
Con questo ultimo lavoro alla direzione artistica della sua compagnia Godani crea una frattura nel paesaggio delle sue opere. Tra le scelte creative che avrebbe potuto mettere in campo per congedarsi da questi otto anni di fruttuoso lavoro c’era: fare l’apologia delle sue opere (che per quanto un artista possa essere egocentrico, è meglio delegarlo ad altri); creare l’ennesimo nuovo gioiello nella sua collana di perle preziose (ma aveva già creato Premonition of a larger plan); riassumere il lavoro svolto in questi anni (e per questo aveva già composto Antologia, Ritratto d’Artista); rompere gli schemi che si era dato e costruito fino ad oggi e ragionare sulla riconquista della ‘libertà’ superando i confini autoimposti (che siano prescritti dall’esterno poco importa, se poi si sceglie di sottostarvi).
Così ha fatto la scelta più controversa e la sua libertà se l’è ripresa affermando che la sua intuizione creativa non deve dimostare più nulla, non deve seguire le regole, non deve indulgere nell’accontentare le aspettative di alcuno, se non quelle della sua visione artistica. E’ l’esempio e l’eredità che lascia ai ‘suoi’ ragazzi, quei danzatori/artisti che hanno scelto di percorrere un pezzo di strada al suo fianco accettando una vera sfida, quella con se stessi, le proprie potenzialità da sviluppare e i propri limiti da superare. Un percorso in cui a nessuno sarebbe stato permesso di non arrivare al massimo, fino in fondo. E ciò che ha legato questi danzatori ad un coreografo così esigente, in cui la strada della creazione è a doppio senso, sono stati l’impegno reciproco per cui si vince tutti insieme, con un dare e un avere scambievole, che non è mero lavoro sul corpo per un puro scopo interpretativo. La riflessione sul fine da raggiungere è a tutto tondo, abbraccia la professionalità, l’artisticità, l’autoanalisi, la crescita interiore come essere umano. Per cui ‘Onore al merito!’
Così, per congedarsi da questa comunità di artisti, che ha dato il massimo, e dal pubblico, che lo ha seguito in questi anni, ha scelto la via più difficile, ancora una volta, quella della provocazione: verso i danzatori, in sfide che apparivano impraticabili, e verso lo spettatore, per spingerlo ad una riflessione che non riguarda solo il futuro della danza o dell’arte ma può essere allargata anche a come sta cambiando l’approccio dell’essere umano alla vita, al senso dell’esistenza, a ciò che desidereremmo e non osiamo perseguire ed alla relazione affettiva tra esseri umani nati tutti uguali seppur distinti. Uno dei temi proposti riguarda le aspettative nei confronti degli artisti e delle loro creazioni, quelle che riversiamo, fantasticando, su chi ci sta di fronte, quelle che sentiamo di vivere come esigenza necessaria, senza la quale crolla il senso della nostra vita. L’aspettativa è un’attesa, che si rapporta al concetto di idealismo, in filosofia è risolvere la realtà nell’idea. Un concetto, se vogliamo, negativo, a cui si lega l’attendismo senza azione, il sognare astrattamente un qualcosa di irrealizzabile. Un modo di pensare che ci frena dal perseguire gli obiettivi più impensabili, ed è proprio contro questo modo di porsi che l’artista combatte.
Può apparire pretenzioso porre interrogativi epocali per chi nella sua espressione artistica si è sempre mantenuto nel campo dell’astratto ma se gli artisti tacciono e non mostrano la loro visione critica, chi riteniamo debba farlo?
(Symptoms of development di Jacopo Godani, Gaizka Morales Richard e Roberta Inghilterra, Dresden Frankfurt Dance Company, ph. Dominik Mentzos)
Come nel libro ‘La profezia di Celestino’ di James Redfield, la comprensione del testo, sia quello coreutico che quello di prosa, è lasciata al livello di sensibilità dello spettatore ed alla sua predisposizione percettiva. Si può leggere come un racconto archetipico delle storie di fantascienza raccontate in vecchi film o fumetti anni ’70. Oppure lo si può percepire come un satirico pamphlet sull’evoluzione della danza contemporanea odierna. O ancora come una visione premonitrice di ammonimento sui tempi che potremmo trovarci a vivere. O forse, chissà, come un’elaborazione personale sugli accadimenti vissuti.
Ecco, quindi, che da artista astratto qual è, Jacopo Godani, per la prima volta, diventa narrativo e, utilizzando scene a contrasto, come in una macchina del tempo che abbia i tasti di ‘reverse’ e ‘forward’, ci catapulta in un futuro prossimo venturo ed, al contempo, con improvvisi flashback, ci risucchia indietro nello spazio temporale, mostrandoci sia la complessità di ciò che la danza contemporanea ha raggiunto in questi anni di ricerca, che la semplificazione di danze ‘tribali’ da social networks che si manifestano come copycat di se stesse, veri riti propiziatori alla perdita di identità e fantasia. Le due manifestazioni, proposte in antitesi, si rivelano come mondi paralleli (seppur distanti nel tempo che percepiamo in anni) in cui l’uno e l’altro si escludono conducendo, come in un attraversamento di ‘sliding doors’ possibili, a scenari diversi.
(Symptoms of development di Jacopo Godani, Dresden Frankfurt Dance Company, ph. Dominik Mentzos)
L’attacco è dirompente. Si entra nel Bockenaimer Depot a cercare il proprio posto a sedere nel buio e nei lampi di luci psichedeliche e stroboscopiche di una discoteca del 2025, con la musica ‘a palla’ e gli artisti tutti in scena che indossano stivaloni in pelle di vernice nera con tacchi e plateau iperbolici mentre ballano, fumano, scattano foto, chiacchierano, insomma, la tipica situazione giovanile. Lo spettacolo ha inizio con il ballo del gruppo ritmato e ripetitivo. Un attacco sorprendentemente pop che il pubblico piacevolmente sorpreso mostra di gradire (sia nella prima di sabato 20 maggio che nella replica di domenica) con un grande e sentito applauso.
Da qui in poi si dipaneranno i vari quadri e i salti temporali, dal laboratorio scientifico/‘centro di sviluppo del 2025’, agli ultimi 8 minuti scanditi dall’orologio digitale che indica quanto manchi all’ ‘Apocalisse della Danza’, dal giorno 1 dopo l’Apocalisse nel 2033, fino ad arrivare al 2045, agli scienziati che in varie situazioni spiegano, bucando la quarta parete, ad un ipotetico pubblico, che poi è il pubblico in sala, quanto sia complesso il movimento del corpo e quanto sia stato raggiunto in termini di articolarità, perfezione e distillazione del movimento, pur sottintendendo che tanto non li capiremmo perché poi, in fondo, tutto ciò non ci interessa. Quadri del futuro, con una danza asincrona e movimenti incerti dalle linee spezzate e contorte, e flashback nel passato, con il linguaggio e la preparazione sofisticata che hanno raggiunto nel movimento i danzatori di Godani.
In scena si alternano esseri spogliati e senza volto, come larve umane che si aggirano, oggetto di studio da laboratorio, dopo aver perso la capacità e l’armonia del movimento, agli umani e vividi danzatori, espressione simbolo delle varie sfumature e coloriture che il linguaggio coreutico della Dresden Frankfurt DC riesce ad interpretare magistralmente.
C’è il simbiotico duo composto da Zoe Lenzi Allaria e David-Leonidas Thiel, ricordo vivente (o mondo parallelo) della capacità e maturità espressiva raggiunta dagli umani che i due danzatori interpretano spingendo sulla velocità dei gesti, rasentando la possibilità di perdere l’intenzionalità del movimento, come quando si cammina su un dirupo, al limite dell’equilibrio possibile, senza mai cadere nell’errore. Come muse ispiratrici di un movimento possibile ecco che uno degli zombi inespressivi si anima con un tentativo di autoespressione più compiuta, un assolo come solo la capacità di frammentazione del corpo di Kevin Beyer poteva interpretare. C’è il poetico duo di Roberta Inghilterra e Gaizka Morales Richard che splendidamente interpretano ciò che della danza è rimasto nella memoria e come due fantasmi leggeri ed eterei fluttuano elegantemente nello spazio teatrale senza essere percepiti da chi è attratto solo dalla mercificazione dei luoghi dell’arte, vissuti come oggetti sconosciuti alla volgarità dell’ignoranza. C’è il formidabile trio, Barbora Kubatova, Todd Baker e Clay Koonar, che interpretano il linguaggio tecnico tipico di Godani, ammorbidito da linee rotonde e intrecci sinuosi, o ancora, il corpo di Alison McGuire, in un intenso solo, che in una pervasiva luce rossa del dopo Apocalisse, ormai persa la memoria del linguaggio coreutico, danza in modo disarticolato e disarmonico, come un burattino rotto.
(Symptoms of development di Jacopo Godani, Alison McGuire, Dresden Frankfurt Dance Company, ph. Dominik Mentzos)
E non manca la musica dal vivo, introdotta dal solo della splendida interprete Amanda Lana che su un tema di Piazzolla si esibisce sulla musica della fisarmonica di Sergey Sadovoy, un talento strepitoso, che con suoni a volte classici a volte stridenti, più poetici o parossistici da il la all’intervento coreutico in scena di tutti i danzatori: ancora in trio Barbora Kubatova, Todd Baker e Clay Koonar, in eclettico assolo Alessandra Miotti (che ci diletta anche al pianoforte), e ancora Felix Berning, Alison McGuire e Todd Baker, a cui si unisce Gjergji Meshaj, solo per citare alcune apparizioni, che interpretano con il corpo l’esasperato e distonico virtuosismo del musicista sullo strumento; la musica diventa l’origine del movimento, la padrona del corpo, che nell’attimo della drastica interruzione svuota d’un colpo i corpi in movimento.
Godani si era già valso dell’uso della voce in scena, solo pochi accenni, per esempio per l’enumerazione di un conteggio, quei numeri che contraddistinguono i tempi musicali e quelli coreutici, come se non fosse sufficiente solo interpretarli con il corpo ma fosse, invece, necessario rafforzare l’espressione armonica motoria con uno dei linguaggi che contraddistinguono l’essere umano. Questa volta, superando un altro confine, la voce diventa compiuta interpretazione. I danzatori recitano, e non sarebbe questa una novità, ma il risultato più che positivo non si deve dare per scontato. Chi in passato ha affidato la recitazione ai danzatori ha spesso deluso, forse anche solo per mancanza di training. I danzatori di Godani, tutti, invece, non solo recitano (con solo tre settimane di preparazione) e lo fanno bene, ma cantano canzoni che hanno creato lavorando insieme, così da far nascere un musical dentro uno spettacolo di danza contemporanea. Il pezzo rap è dissacrante e liberatorio.
(Symptoms of development di Jacopo Godani, Dresden Frankfurt Dance Company, ph. Dominik Mentzos)
Si va avanti di situazione in situazione, tra le parti recitate ed ironiche in cui si rompe, come dicevo, sia lo schema del non attraversamento della quarta parete che quello dell’uso della recitazione da parte di danzatori altamente specializzati nell’espressione corporea ma non sperimentati nella prosa. Valida l’interpretazione attoriale di tutti gli artisti, ognuno col suo personaggio, da Clay Koonar, che supera la sua naturale ritrosia caratteriale nell’interpretare un crudo direttore teatrale, ad un illuminato Felix Berning, ottuso manager, oltre che tipico prototipo dello scienziato tedesco, Herr Professor, che dirà: “There is a golden pig to feed!” (C’è un maialino d’oro – il classico salvadanaio - da rimpinzare!). Dagli ironici e scoppiettanti scienziati, Zoe Lenzi Allaria e Felix Benning, ai due partecipanti al corso di danza sui tacchi, Kevin Beyer e Clay Koonar, che come due perfide comari, verso la fine dello spettacolo, con una parafrasi ironica su quanto l’arte debba impegnarsi perché possa finalmente essere apprezzata e non monetizzata e mercificata, commentano così: “Ballano, cantano, recitano, cos’altro devono fare? Parlare giapponese?” Ed ecco che tutto il gruppo con un’ondulazione ritmata e pochi semplici e ridicoli movimenti, interpretano un brano in giapponese!
(Symptoms of development di Jacopo Godani, Felix Berning e Gaizka Morales Richard, Dresden Frankfurt Dance Company, ph. Dominik Mentzos)
Il coup de theatre, prima del finale, merita di essere vissuto e non sarebbe giusto spoilerare una scena tanto godibile e divertente, ma la commozione che sale con l’ultima scena al suono di Cosmic Dancer di T.Rex è toccante. Ascoltare il brano del 1971 ed assistere al gruppo di esseri/larve agglomerarsi in un groviglio di tentativi di abbraccio all’incapace ricerca dell’amore, mentre un video di sfavillanti monete dorate piovono dal cielo, fa salire il groppo in gola e fa fare capolino a due ‘lucciconi’. Sarà perché capiamo che stiamo perdendo la capacità di vivere un rapporto affettivo, sarà perché quel ‘tocco’ dell’epidermide che ci avvicina, prima percezione umana nel ventre materno che ci permette di capire l’esistenza dell’altro e di cercarlo ce lo eravamo dimenticato e ci ritorna in mente (“I danced myself right out the womb” - Ho danzato fino ad uscire dal grembo materno – dice, non a caso, il testo della canzone), o sarà, forse, perché sappiamo che tutto ciò che ci allontana da questo tocco affettivo ci aliena dall’essere umani.
E alla fine il pubblico è semprein piedi per appluasi a scena aperta.
Symptoms of devolopment è già un cult !
SYMPTOMS OF DEVELOPMENT
Bockenaimer Depot, Francoforte
Prima del 20 maggio 2023
Coreografia e Direzione Artistica
Jacopo Godani
Musica dal vivo
48Nord
Sergey Sadovoy fisarmonica
Alessandra Miotti pianoforte
Scena/Luci/Costumi
Jacopo Godani
Danzatori
Todd Baker, Felix Berning, Kevin Beyer, Roberta Inghilterra, Clay Koonar, Barbora Kubatova, Amanda Lana, Zoe Lenzi Allaria, Allison McGuire, Gjergji Meshaj, Alessandra Miotti, Gaizka Morales Richard, David-Leonidas Thiel