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Aterballetto

L'intervista
Quando
15/02/2019
Genere
L'intervista
Era una casa molto carina, senza soffitto senza cucina. Non si poteva entrarci dentro perché non c’era il pavimento … Ma era bella bella davvero in via dei Matti numero zero.
 
Tutte le volte che ricordo questa canzonetta, l’associo alla nostra vera unica casa della Danza, perché solo un gruppo di illuminati matti negli anni 70 poteva pensare di dar vita a un processo che avrebbe condotto al fiore all’occhiello della nostra Danza italiana.
Il successo di questa operazione?
Come già scrissi in un mio articolo dell’anno scorso:  “…..vollero fortissimamente vollero …”
Quando le istituzioni (Città, Provincia e Regione )  collaborano tutte per raggiungere un obiettivo.
L’Aterballetto nasce così nel 1977 con la direzione artistica di Vittorio Biagi (all’epoca si chiamava Compagnia di Balletto dei Teatri dell’Emilia Romagna).
Nel 1979 Amedeo Amodio ne assume la Direzione Artistica fino al 1996, anno in cui viene cambiata la denominazione in Aterballetto. Nel 1997 subentra il giovane, ma già conosciuto, Mauro Bigonzetti, al quale succede Cristina Bozzolini, nel 2008. Nel 2017 arriva Gigi Cristoforetti.
 
Con Biagi la compagnia prende forma. Amodio la rende internazionale in un mix di autorialità e lavori affidati ad importanti e conosciuti coreografi. Con Bigonzetti si consolida la compagnia d’autore. Con Cristina Bozzolini oltre al coinvolgimento di coreografi affermati ed internazionali, si da molto spazio anche a giovani autori italiani. 
Oggi la fase più imprenditoriale per Aterballetto, che vede la figura del Manager differenziare, allargare, approdare a numerose progettualità affinchè la Fondazione Nazionale della Danza nonché dal 2015 Centro di Produzione sia il riferimento assoluto della Danza in Italia, forte di una volontà del territorio che a questa casa ha dato soffitto e pavimento, rendendola la splendida sede che è diventata, grazie ai quei “folli illuminati uomini” che la immaginarono.
Si apre così l’era Gigi Cristoforetti, istrionico lavoratore dello spettacolo che sa annusare e cogliere le opportunità in un intreccio tra arti visive, teatro, progetti speciali, formazione, attenzione al territorio e apertura di questa casa ai cittadini, cioè a tutti coloro che amano e praticano la danza. Forse una rivoluzione un pò azzardata e repentina, che avrà sicuramente lasciato perplessi, talvolta sgomenti, uffici e danzatori. Senza dubbio ammirevole il coraggio di porsi un obiettivo così elevato che prevede, in qualche modo, una rivoluzione. 
I giudizi sono di certo molto vari e spesso non allineati con il suo punto di vista, ma, come si dice: chi non fa non sbaglia!
Io e la mia amica Luisanna Tuti, ex Produttore Esecutivo di tutti i più grandi eventi di danza di RAIUNO, abbiamo trascorso un’intera giornata nella casa della danza a Reggio Emilia, curiosando tra gli uffici, assistendo alla classe e alle prove. In quel periodo Diego Tortelli era in prova per il debutto Torinese di Domus Aurea all’interno del progetto Bach Project e gli uffici erano impegnati in numerose riunioni di vario genere, ma Sveva Berti e Gigi Cristoforetti hanno trovato il modo di dedicarci un po’ del loro tempo prezioso.
Avevo avuto la possibilità di scambiare qualche parola con Sveva durante la conferenza stampa di presentazione del nuovo assetto di Ater. Lei, accolta dalla Compagnia con affetto, stima ed entusiasmo, è un’artista molto schiva e riservata, abituata a lavorare a testa china, fuggendo, quando può, pubblicità e riflettori,
 
Sveva oggi sei raggiante! Non sembri affatto quella che ho incontrato qualche mese fa .
Sono molto soddisfatta. Il lavoro è faticoso ma appassionante (mi ha risposto sorridendo).
 
In realtà in molti abbiamo pensato che tu fossi solo un nome messo lì per consentire a Gigi di manovrarti a suo piacere (ho aggiunto un po’ ironica). Scusa se sono così diretta, ma il pettegolezzo che gira...”. 
(Mi guarda continuando a sorridere. Forse lo aveva sentito). 
Di cose se ne dicono tante. Io ho una mia professionalità e una forte identità. Voglio svolgere il ruolo che mi è stato assegnato con responsabilità, ma in questo corso di Ater, siamo un team. Gigi rispetta me come persona e come professionista. Io sicuramente sono qui per mettere a disposizione la mia competenza e la mia esperienza. Il pettegolezzo non mi preoccupa: sono i risultati che raccontano il rapporto tra me e Gigi.
 
Quali sono le tue competenze specifiche?
Seguo soprattutto la sala prove. Quella è la mia anima e il mio fine primario è quello di portare in scena lo spettacolo. Inoltre la compagnia ha bisogno di una figura di riferimento, alla quale rapportarsi e nella quale credere. Spero di essere riuscita in questo intento.
 
La tua sfida maggiore?
“Scrivere le mail. Sembrerà una cosa un po’ stupida, ma, essendo un’artista abituata a lavorare in sala, trovarmi in ufficio, dove peraltro non ho segreteria, non è stato semplice. Ho dovuto necessariamente imparare a scrivere in maniera sintetica, comprensibile, spesso in inglese, cercando di riflettere l’immagine di me al meglio”.
 
Il rapporto tra te e Gigi: pregi e difetti.
Gigi mi ha messo alla prova.
Per quello che riguarda la compagnia, sono io che scrivo, prendo contatti, mi sposto per trattare gli aspetti artistici e organizzativi.
Entrambi abbiamo due caratteri forti (al di là della mia timidezza), ma Gigi è uno che sa ascoltare e comprendere, per cui è disposto, come me, a mettersi in discussione.
 
Cosa ti ha gratificato maggiormente negli ultimi tempi?.
Sicuramente la presenza di Jiri Kylian a Torino per il debutto di Sarabande nel settembre 2018. Non solo per la grande motivazione che ha dato ai ballerini, alla compagnia tutta, ma anche per il rapporto che si è subito instaurato. Ha preteso che io fossi sempre accanto a lui, dandomi grandi attestazioni di stima che non nego mi hanno molto gratificata.
 
Come definiresti la Compagnia?
Senza dubbio la miglior compagnia italiana.
Abbiamo da poco (era settembre quando ci siamo incontrate ) nuovi elementi straordinari, ma tutto l’organico è fantastico. Nove danzatori italiani e sette stranieri provenienti da Inghilterra, Francia, Belgio, Germania, Albania, Svizzera. Gli ultimi arrivati sono molto giovani con tanta energia, quell’energia che i ragazzi sanno infondere anche agli altri. Tra l’altro tutti i danzatori, oltre ad essere bravi, sono anche belli. Per me Danza è anche estetica, per cui presentano tutti i requisiti che io ritengo fondamentali per una Compagnia di caratura internazionale.
 
Passiamo quindi ad incontrare Gigi nel suo ufficio ed io gli pongo la prima domanda che mi sembra fondamentale:
 
Gigi ci pare che il tuo obiettivo sia quello di portare Ater al vertice del sistema Danza. È così?.
Sì, ora lo dico apertamente. Credo che Ater meriti di essere il principale riferimento della Danza in Italia per una serie di motivazioni oggettive. Abbiamo una casa istituzionale ed è l’unica realtà italiana totalmente sostenuta delle pubbliche amministrazioni, per cui è sostanziale la differenza tra noi e altre realtà.
 
Il tuo arrivo all’Ater ha destato non poche preoccupazioni tra gli operatori del settore perché tu sei considerato un pò un asso pigliatutto.
Da bravo “politico” sorvola, non risponde e inizia a raccontarci di tutti i molteplici progetti avviati. Ascolto ma non è ciò che in realtà mi interessa, in quanto fiumi di comunicati stampa ci parlano di programmi imminenti e futuri.
Una cosa però va recepita ed evidenziata: Ater diversifica la programmazione per entrare in contatto con più realtà, ampliando la propria offerta di vendita a circuiti differenti da quelli praticati sino ad oggi: teatro, teatro ragazzi, musei, ambiti moda, arti visive, spazi urbani, paesaggistici, integrazione, progetti speciali, progetti sociali, perché intercettare nuovo pubblico è un’esigenza imprescindibile per una crescita virtuosa. 
Inoltre, caso raro per la danza nel nostro Paese, l’Ater ha organizzato il lavoro basandosi su una progettualità triennale, come per le programmazioni delle più importanti realtà artistico/culturali.
 
Ater ha aumentato gli incassi quest’anno?
Sì, grazie alle diversificazione abbiamo aumentato di un 30% gli incassi e questo ci rende ancora più convinti della direzione avviata.
 
Posso chiederti quali sono le paghe dei ballerini?
Intanto, posso dirti con orgoglio, che siamo riusciti ad aumentare tutti gli stipendi di chi lavora in Fonderia. I ballerini al primo contratto hanno una paga che si aggira sui 1.700 euro, a salire per coloro che sono da più anni in compagnia. In linea con le paghe in Europa. 
 
Qual è la politica generale che anima il lavoro in questa triennalità?
L’opportunità. L’opportunità di chi viene accolto in questa casa per creare, è di essere guidato ed accompagnato.
Se decidi di investire su un coreografo che reputi interessante, gli devi mettere a disposizione risorse e mezzi, ponendolo sullo stesso piano di un grande, come Jiri Kylian o Ohad Naharin. Questo è quello che abbiamo fatto anche con Diego Tortelli per il progetto Bach Project. 
Permettimi però di fare un passo indietro.
La nuova politica di programmazione richiede anche di interrogarci su cosa il mercato sta cercando. 
Noi abbiamo chiesto ai programmatori, ai distributori, ai direttori di teatro, cosa vorrebbero per il loro pubblico.
Ne è emersa l’esigenza di avere un autore musicale comprensibile ed un coreografo con un nome di richiamo: elementi determinanti per attrarre pubblico.
Ecco che non si parte più da cosa vorremmo fare noi; non confezioniamo più una produzione senza sapere se il mercato ne sarà interessato o meno, cerchiamo tuttavia di coniugare l’ esigenza di ricercare, innovare con progettualità che tengano conto del pubblico, senza limitare una rivisitazione contemporanea, com’è stato per Bach Project l’opportunità di offrire questa casa ad altre realtà: qui possono confrontarsi e proporsi.
L’opportunità di accogliere i giovani per far conoscere Aterballetto anche a coloro che amano la danza, ma non ne faranno una professione. Far conoscere a chi ne farà una professione i protagonisti di questa compagnia e la loro casa.
L’opportunità’ di avere uno sguardo sui bambini, sull’integrazione, sul sociale, temi che non possono non essere indagati per un centro che è anche casa di Cultura e Culture.
Abbiamo aperto la Fondazione, creato giornate affinché chiunque possa entrarvi e curiosare.
Le Cooproduzioni sono un altro degli aspetti dove abbiamo lavorato moltissimo, sempre nella logica di reperire risorse e consentirci di proseguire su un percorso diversificato ma di alta qualità. Siamo un territorio dinamico”.
 
Proseguiamo il nostro tour all’interno della Fonderia, libere di muoverci in piena autonomia, con noi Daniele Casadio, il nostro fotografo. Al nostro arrivo ci aveva accolte la sempre sorridente e super professionale Stefania Catellani, responsabile da anni dell’ufficio stampa della Fondazione. Il ruolo dell’Ufficio Stampa, come in ogni realtà, è fondamentale.
Stefania Catellani, cortese e garbata, ci mette subito a nostro agio. Grande professionista, accetta anche critiche ed articoli non           proprio favorevoli (qualche volta accade). Non lascia mai trapelare insofferenza o disappunto. Il suo è un ruolo strategico che comprende anche le pubbliche relazioni, da lei svolte magistralmente.
 
Sua compagna di molteplici avventure, Rossella Caldarelli, responsabile Produzione e Tour Management. Ci conosciamo da almeno 20 anni. Era l’epoca Bigonzetti e io lavoravo con Vittoria Ottolenghi e Vittoria Cappelli. Inutile raccontare in quante occasioni abbiamo dovuto mediare tra “giganti” in programmi televisivi, festival e quant’altro, dove Aterballetto era coinvolto. 
Rossella è la dinamicità fatta persona. Non si focalizza mai sul problema, ma sulla soluzione: super organizzata. Con lei, anche le tragedie in corso, lasciano spazio a qualche sana risata.
 
Sicuramente Rossella e Stefania sono le persone con le quali mi sono sempre rapportata e di cui posso parlare per conoscenza diretta. Negli ultimi tempi però ho potuto confrontarmi spesso anche con Giuseppe Calanni, maître della Compagnia, dal carattere più riservato, ma dall’ironia acuta. L’ho osservato durante le classi che ha dato nella giornata di festa in Fonderia, lo scorso ottobre, ma soprattutto quando è stato con noi in giuria al concorso “Danzasì”. Conosco anche lui da circa vent’anni, poiché era un danzatore dell’Ater. L’ho sempre reputato una persona piuttosto distaccata, ma è proprio vero che prima di esprimere giudizi è necessario conoscersi. Così l’eleganza con cui Giuseppe dirige le classi, sia dei professionisti che dei giovani allievi, il legame con la compagnia ed il garbo con cui si pone per esprimere il suo parere, mi hanno piacevolmente impressionata. Il lato del suo carattere che più mi ha incantata è però la nota ironica con cui sa descrivere fatti e persone.
Non ho avuto modo di conoscere tutti personalmente, ma in ogni ufficio visitato ci ha accolto un’atmosfera di cordialità e simpatia che, da sempre, caratterizza l’Emilia Romagna.
Siamo a Reggio Emilia ma, entrando in Fonderia l’impressione è di essere in una di quelle favolose strutture del Nord Europa. La struttura mi ha ricordato un po’ il luogo dove lavora Jacopo Godani, a Francoforte, al Bockenhemeir Depot. 
La Fonderia è stata inaugurata nel 2004. Faceva parte del complesso industriale “Lombardini Motori”, ed è il risultato di un pregevole recupero architettonico di una vecchia fonderia del 1938. Caratterizzato da soffitti altissimi, luminosità sorprendente, l’edificio ha la struttura di una grande cattedrale romanica. Commissionata e finanziata dal Comune di Reggio Emilia e dalla Regione Emilia-Romagna, l’opera di ristrutturazione, realizzata dall’Ing. Maurizio Zamboni, dispone di tre sale prove, camerini, uffici, una sala dedicata alle mostre, conferenze, piccoli incontri. Dispone anche di una sartoria e di un’area riposo dei dipendenti, con frigoriferi e microonde. Due sale prove, all’occorrenza, sono adibite a spazio teatrale e dispongono di gradinate.
La Fondazione Nazionale della Danza è una realtà che ci fa onore, e la Fonderia ne è una degna casa.
Auguriamoci che la politica in Emilia-Romagna continui nel suo sostegno perché non c’è progetto o impresa culturale, di livello internazionale,  anche se amministrato con responsabilità e managerialità, che possa continuare a crescere senza un adeguato contributo da parte delle istituzioni, almeno questa è la mia opinione.

 
Monica Ratti