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Daniela Maccari e il dono di Kemp

L'intervista
Quando
01/01/2021
Genere
L'intervista
Daniela Maccari, danzatrice nell’Ensemble di Micha van Hoecke dal 1995, è grazie all'incontro con il geniale Lindsay Kemp che vede cambiare totalmente la sua vita artistica. È lui che la vuole non solo come danzatrice ma anche come coreografa e assistente in tutte le sue produzioni.

Oggi dopo aver ricevuto la consegna dell'eredità artistica dallo stesso Kemp è impegnata con altri membri della compagnia a mantenere vivo il genio del Maestro

Il tuo primo incontro con il grande Lindsay Kemp.
Il nostro primo incontro è avvenuto il giorno della mia audizione, quando ha varcato la porta dell’entrata artisti del teatro. Stranamente non ero particolarmente nervosa, anche se avrei dovuto esserlo perché non avevo la minima idea di cosa potesse chiedermi. Non sapevo che quell’incontro avrebbe cambiato totalmente la mia vita! E pensare che all’inizio avevo creduto fosse uno scherzo!! Ero infatti in vacanza a Parigi quando ho ricevuto un messaggio da un mio caro amico attore, Simon Blackhall, che stava lavorando con Lindsay, in cui mi chiedeva se potessi essere interessata a collaborare con Lindsay Kemp come coreografa per la messa in scena di Cinderella. Hai presente quando leggi e rileggi e rigiri il telefono pensando sia uno scherzo? Ovviamente mi sono precipitata in Italia per sostenere l’audizione! Ed ecco il momento in cui varcò la porta del teatro; stavo aspettando il mito, la leggenda, termini che, per la sua autoironia, lo hanno sempre fatto ridere, ed è entrata invece la persona più affabile, simpatica, semplice, buffa, generosa, rispettosa che abbia mai conosciuto! È scattato immediatamente qualcosa che mi ha messo a mio agio, in tranquillità. Questa sensazione si è amplificata quando sono salita sul palco. Provavo una sensazione di totale libertà danzando, consapevole che quello che mi chiedeva era già dentro di me e che potevo essere libera e sincera come mai prima. Si poneva con una semplicità infinita ma suggeriva immagini che aprivano mondi interi davanti a noi. Sprizzava una incontenibile voglia di danzare e un entusiasmo contagiosi per tutti, creando un clima meraviglioso, pur essendo un’audizione.
Entrambi, ce lo siamo confessati successivamente, abbiamo avuto la sensazione, già dopo cinque minuti, di aver lavorato insieme da sempre. Alla fine dell’audizione, cominciò a parlarmi dello spettacolo, iniziò subito a “lavorare”, prima di responsi e contratti ufficiali. Era già scattata quella complicità che ha sempre caratterizzato il nostro rapporto.

Raccontaci qualcosa in particolare del tuo rapporto con lui
Il rapporto con Lindsay non può che essere totale e viscerale, perché in maniera totale viveva, danzava, creava. E non c’è mai stata separazione tra la sua vita e il suo teatro. Mi ha sempre spronata a danzare come se fosse l’ultima volta, e lui viveva come se fosse sempre l’ultimo giorno. Anche il lavoro era un fatto totale; mi sembrava di non lavorare mai, tanto era l’amore, la gioia, le risate che mettevamo in quello che facevamo, ma nello stesso tempo lavoravamo sempre, perché ogni momento, anche in pausa, in aereo o per strada, poteva essere quello giusto per nuove idee! Lindsay era un gentiluomo con un rispetto infinito per il lavoro di tutti; giustamente esigente, sapeva chiedere ma anche ringraziare, apprezzare ed infondere fiducia. Era per me una continua fonte di ispirazione, mi ha sempre ascoltata, stimolata e incoraggiato moltissimo la mia creatività. Dimostrava di voler essere a sua volta continuamente ispirato da me, cosa che mi dava un gran senso di responsabilità ma mi rendeva anche profondamente felice. Sicuramente Lindsay è anche la persona con cui ho riso di più. Adorava farmi scherzi, soprattutto per spaventarmi, per poi continuare a rotolarsi dalle risate!

Ci legava un’enorme complicità: due bambini che si danno gomitate e scalpitano in circostanze noiose, due sognatori che condividono i loro sogni, due amici che si raccontano, due danzatori in scena che si lasciano trasportare in un altro mondo. Ma soprattutto era il mio maestro, nel senso più profondo del termine.

In tutti questi anni in quale spettacolo ti sei sempre sentita più legata e perché?
Il cuore mi porta immediatamente a Kemp Dances. Uno spettacolo antologico con i pezzi più iconici di Lindsay ed anche nuove creazioni. Il sottotitolo era infatti “Invenzioni e reincarnazioni” che denota la continua esigenza di nuovo da parte di Lindsay, che lo portava a “rinnovare” a reincarnare in modo sempre diverso anche il repertorio, come in una sorta di smania creativa. E non nascondo che il continuo cambiare anche piccoli dettagli a volte fosse molto faticoso per noi! Per questo spettacolo Lindsay mi ha regalato dei ruoli meravigliosi, tutti molto vicini a me e che amo profondamente. Ha creato per me e Ivan Ristallo, partner generoso e attento,  La Femme en rouge, in cui mi identifico. Come per ogni ruolo, le sue indicazioni per il personaggio sono sempre state precise, ma nello stesso tempo ci ha permesso di muoverci dentro con libertà. Per Il Cigno, la mia seconda pelle, ho raccolto un’importante eredità: fu creato per Nuria Moreno da Lindsay e Marco Berriel. Ma soprattutto l’emozione più forte era danzare accanto a lui nel ruolo della ballerina pazza in Frammenti del diario di Nijinsky. La forza che irradiava da lui era enorme, una luce che non offuscava gli altri ma li faceva brillare ancora di più. Non dimenticherò mai i suoi occhi nel momento in cui Nijinsky cammina verso la Ballerina protendendo la mano. Mi sentivo letteralmente trasportata altrove. E nel momento in cui afferrava la mano credevo che la mia anima esplodesse. Per questo spettacolo  Lindsay mi ha fatto un altro regalo prezioso: ha chiesto al maestro Luc Bouy di rimontare per me e Ivan Mi Vida” creato precedentemente per Savignano e Murru; un ruolo di un’intensità pazzesca che sento prepotentemente e che mi ha permesso di conoscere un altro grande maestro molto generoso.

Sono legata a Kemp Dances anche per ricordi bellissimi dei vari tour in teatri carichi di storia e tradizione, tra tutti cito solamente il Teatro Lope de Vega di Siviglia o il Rossetti di Trieste con la sua bellezza mozzafiato. Per l’accoglienza sempre calorosissima che il pubblico ci ha riservato, per l’armonia che regnava nella nostra compagnia molto affiatata, per i momenti di scherzi e risate.

Durante i vari stage come riesci a raccontare ai tuoi allievi l’arte di Kemp?
Mi sento talmente permeata dello stile e della poetica di Lindsay che credo, e soprattutto spero, che si percepisca lui in ogni mia parola e gesto; spero di riuscire a raccontarlo nel modo più naturale, lo stesso in cui mi ponevo accanto a lui.

Ripetendo “abbandonatevi alla musica, voglio vedere il vostro spirito che danza” ha fatto trovare alla mia anima la sua libertà. Vorrei tanto contribuire a “liberare” e ispirare qualche altro giovane spirito danzante, trasmettendo la sua visione, il suo umorismo, la sua intensità, i suoi incantesimi, attraverso una classe che è quasi un’esperienza totale, fisica ed emotiva, trascendendo stili e categorie.

Ho sentito immediatamente forte questa sorta di “missione” di continuare a far brillare la sua luce e di cercare di piantare e diffondere il seme della sua poetica. Ed è stato un processo naturale continuare a dare classi nel suo stile. Quando le davamo insieme la collaborazione era talmente totale che quasi non capivo dove finiva l’uno ed iniziava l’altro.

Ho sempre avuto la consapevolezza di essere estremamente fortunata a lavorare con un vero grande artista dal quale impari ogni volta che muove un dito o apre bocca, che ha la capacità di toccare l’anima e aprirti a nuove visioni in modo molto semplice e naturale. Desidero con tutto il cuore trasmettere i suoi insegnamenti che mi incantavano per il loro essere una cosa sola con la sua vita. Ci esortava a danzare “for you” cioè in modo generoso, per gli altri, a fare di ogni nostro gesto un regalo, a danzare col cuore in mano, a condividere ogni sensazione con gli altri, senza farne un fatto privato, perchè lui viveva così! Ci spingeva a danzare ogni volta con la gioia e la sorpresa della prima volta, a goderci ogni miracolo che scaturisce da ogni gesto. Ci insegnava però anche a danzare senza risparmiare niente come se fosse l’ultima volta. Ecco vorrei tanto non solo riuscire a trasmettere alle nuove generazioni i suoi insegnamenti, ma riuscire anche a dipingere  un po’ della sua personalità e del suo spirito.

Daniela Maccari coreografa. La tua prima coreografia?
Ho avuto la fortuna di crescere circondata da musica per la passione dei miei genitori. Mio padre suona benissimo il pianoforte e fin da piccolissima ho sempre improvvisato intorno a lui. A tre anni più o meno li convocavo nella mia camera sottoponendoli alle mie evoluzioni e cadute rovinose mascherate da pose plastiche. Ricordo una delle prime esibizioni sulla musica della Sinfonia La forza del destino!

A parte gli scherzi le mie prime coreografie sono state per i giovani attori e danzatori del Laboratori del Teatro Verdi di Pisa, un ambiente estremamente vivace e che mi permetteva di esprimermi con i più vari generi musicali. Ricordo un can can quasi puramente gestuale che apriva Misura per misura di Shakespeare ed un rock’n roll danzato praticamente seduti. La mia esigenza era raccontare o la storia o lo stato d’animo in maniera semplice, sincera e naturale, senza orpelli o ridondanza di movimento inutile, ma piuttosto mettendo a nudo l’anima. Pur essendo io una danzatrice di forte base classica mi è sempre piaciuto vedere in scena “persone normali” che danzano piuttosto che ballerini, o meglio, bravissimi danzatori, che fanno sembrare normale e accessibile a tutti quello che fanno.

Poi l’incontro con Lindsay e appunto le coreografie per Cinderella. Dalla mia danza un po’ più realistica e quotidiana a quella di sogno di Lindsay delle fatine di Cenerentola, anche se in una versione molto cruenta della favola. E ho scoperto subito quanto fosse entusiasmante questo “lavoro di squadra” dove si trattava di riuscire a tradurre in gesto e movimento le sue idee, la sua visione totale.

Kemp Dances Ancora. Parlaci di questo progetto artistico.
Con David Haughton, storico collaboratore di Lindsay di un’intera vita, Ivan Ristallo, James Vanzo e Alessandro Pucci e in accordo con gli altri membri della compagnia anche del passato, abbiamo sentito fortemente la necessità di continuare a far danzare, a far brillare Lindsay in scena e siamo partiti proprio da Kemp Dances trasformandolo in “un tributo di amore per Lindsay”. Kemp Dances significa in inglese “le danze di Kemp” oppure “Kemp danza”… da qui Kemp Dances Ancora”!. Ci sono immagini video introdotte da David in cui Lindsay appare in tutte le sue trasformazioni, le ultime creazioni per noi e un estratto dal Nijinsky con tutta la compagnia in scena in una sorta di sdoppiamento con il video. Inoltre con mia gioia, mio onore e grande responsabilità, io danzo alcuni dei suoi soli storici ed iconici come The Flower, L’Angelo e Ricordi di una Traviata, interpretati sia da Lindsay in video che da me live in una sorta di flashback. Con un gesto unico e mai avvenuto in passato Lindsay, alcuni anni fa, aveva espresso il desiderio che questi suoi pezzi facessero parte del mio repertorio e che continuassi a danzarli “dopo” di lui. Da quel momento ha curato la mia preparazione insegnandomeli e facendomeli provare. Quel giorno è ben impresso nella mia memoria; fui sopraffatta da un tumulto di emozioni: gioia e gratitudine ma anche turbamento perché per me Lindsay li avrebbe danzati sempre. E, come avveniva spesso, lui sdrammatizzò il momento, cantando una canzoncina inventata sul momento!

Non vediamo l’ora di riportare in scena questo spettacolo; speriamo possano realizzarsi le prossime date  che sono particolarmente importanti per me: il Teatro Verdi di Pisa che è la mia città e il vivace Teatro Lo Spazio a Roma.

Ma vogliamo che Lindsay “danzi ancora” anche in altri modi; per esempio organizzando mostre di foto e dei suoi disegni e anche attraverso il Premio Lindsay Kemp, progetto al quale tengo tantissimo, che ha visto la sua prima edizione nel 2019 grazie a Lunga Vita Festival, con il quale desideriamo dare un palcoscenico ai giovani artisti.

E perché il suo pubblico sia ancora più vasto senza limiti geografici, stiamo lavorando all’ampliamento del sito online che è diventato la casa di un prezioso archivio di immagini e testi, grazie soprattutto alla memoria storica e personale di David Haughton e alla collaborazione tecnica di Paola Autera.

Cosa sta cambiando nella danza ?
La danza è la prima, la più immediata, sincera, naturale via di comunicazione. Ne consegue che risenta dei cambiamenti della vita e della nostra società ma vorrei che non si perdesse di vista proprio questa sua immediatezza e naturalezza.

Consiglio sempre ai giovani danzatori e coreografi di documentarsi il più possibile, di vedere il più possibile, di andare al teatro, al cinema, di leggere. E pensiamo a quanti mezzi ci sono ora che rendono più facile ampliare i nostro orizzonti, sempre che siano usati con intelligenza!

Inoltre le nuove tecnologie sono sempre più presenti proprio nel processo creativo. Anche in questo caso possono essere un valore aggiunto se usate con misura, non mi piace l’ostentazione e non mi piace l’uso non giustificato; spesso purtroppo ho l’impressione che si mascheri la mancanza di idee dietro un uso improprio di mezzi ed effetti tecnologici. Ma quando vanno a sposarsi con il racconto del coreografo trovo che sia una grande possibilità.

Vedo anche sempre più contaminazione tra generi che può portare a esperimenti molto interessanti. Mi piace provare nuove cose, ritengo che un valore aggiunto per un danzatore sia proprio la versatilità e sicuramente adesso ci sono più possibilità per mettersi alla prova. Ho sempre sentito poco la differenza tra generi; nel momento in cui devo raccontare qualcosa è giusto poterlo fare nel modo più efficace. Lavorando con Lindsay mi piaceva la sensazione di non sapere cosa aspettarmi, che avrebbe potuto chiedermi sempre cose molto diverse.

Esprimersi, interpretare, lavorare con il corpo. Come si sono evoluti nel tempo questi processi ?
Il lavoro sul corpo sicuramente si è evoluto; nuove discipline e tecniche, per esempio il Gyrotonic, aiutano la preparazione del corpo anche da un punto di vista atletico. Basti pensare che spesso nei teatri si affianca ai ballerini un personal trainer specializzato. Tutto questo sicuramente ha migliorato le prestazioni fisiche, evolvendo la tecnica e facendo raggiungere ragguardevoli traguardi. Ma anche in questo preferisco la misura e non gli eccessi; non mi piace un circo eccessivo di doti fisiche e non mi piacciono i danzatori palestrati. Forse il lavoro sull’interpretazione non è andato di pari passo?  Forse sta portando a concentrarsi sempre più su se stessi e ad essere meno comunicativi? A volte troppo intellettualistici? Ci vuole molto coraggio e una dose di rischio per dimenticare se stessi e trasformarsi totalmente in scena, diventare, essere il personaggio e non recitare.  O forse è proprio lo specchio del nostro tempo in cui proprio per colpa della tecnologia siamo sia più vicini ma anche più soli?

Quali sono oggi i problemi di una compagnia che non ha finanziamenti propri?
“Gli artisti vivono una vita precaria come marinai, saltimbanchi e toreri… sempre sul filo!” Potrei riassumere così la situazione, citando le parole di Lindsay.

Il problema principale è quello di non avere una continuità quotidiana, di non poter essere tutti, tutti i giorni, durante tutto l’anno a lavorare e creare insieme… ma quando succede il lavoro è sicuramente molto forte ed intenso e non rischia mai di cadere nella routine!

Del resto è sempre stata una caratteristica della Lindsay Kemp Company, un gruppo quasi zingaro e non istituzionalizzato di artisti estremamente liberi che giravano il mondo!

Quali sono le prospettive della danza dopo l’esperienza Covid-19?
Non so quali siano le prospettive, ma sicuramente non dovremo dimenticarci di chi ne uscirà a pezzi; il mio pensiero va inevitabilmente alle scuole di danza, anche materialmente ferite dalla pandemia.

Sta a tutti noi cercare di prendere e trattenere solo quello di buono che la pandemia ci ha indicato. Se ce ne fosse stato bisogno, ha mostrato quanto il pubblico, qualsiasi pubblico, ha bisogno di nutrire lo spirito; e per questo tutta la generosa offerta streaming è stata una salvezza. Ma ci ha anche mostrato quanto ci sia bisogno di condividere insieme il rito dello spettacolo. Spero che al più presto potremo riportare il pubblico in teatro e toglierlo dal pc. Niente mi può restituire quella sensazione di una platea che respira con me!

Spero che di questo periodo rimanga la complicità, la vicinanza che ho visto tra gli artisti. La maggior facilità e velocità con cui ci siamo inventati nuove idee e collaborazioni, anche solo attraverso una videochiamata. La determinazione con cui abbiamo voluto far parlare di noi.

Ci sarà una “rinascita” per tutti noi. Sarà diverso, sarà più consapevole e sarà vissuta più intensamente.

Ogni volta sarà veramente una nuova prima volta.

Il senso di rinascita l’ho già assaporato questa estate quando abbiamo potuto fare spettacoli all’aperto di fronte ad un pubblico distanziato, quando il mio corpo e il mio spirito si sono goduti quel momento in modo viscerale. E non rinascevo solo io sul palco, ma dagli occhi dietro le mascherine, percepivo che era una rinascita per tutti.

E sono “rinata” entrando pochi giorni fa in un teatro, dolorosamente vuoto, per effettuare alcune riprese grazie al coraggio instancabile di Patrizia Salvatori e Inscena.

E ispirandoci al solo Il fiore, la vita di un fiore metafora della vita dell’uomo, vorrei che ci risvegliassimo, rinascessimo, come il fiore che il giorno dopo con un nuovo sole sboccia di nuovo.

Se c'è qualcosa che acresti voluto dire a Lindsay Kemp ma non sei mai riuscita a farlo questo è il momento. Ti confesso con gioia che non credo ci sia niente di non detto! Per il mio carattere, e forse anche per esperienze della mia vita, cerco di vivere a fondo e in modo consapevole e di non lasciare niente… anche se sicuramente sono riuscita a parlargli meglio con la mia danza che con le parole!

Sicuramente un altro “GRAZIE” urlato a squarciagola ci sta tutto! E mi piacerebbe tanto potergli dire “hasta mañana” come tutte le sere alla fine delle prove, quando scherzavamo parlandoci in spagnolo!

Massimo Zannola