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Nnamdi Nwagwu
Ho conosciuto Nnamdi nel dicembre 2019, quando invitai la scuola Professione Danza Parma, diretta da Lucia Giuffrida e Francesco Frola, alla seconda edizione di Dancin’Bo a Bologna per esibirsi al Teatro Comunale. In quell’occasione vidi Nnamdi in scena e fui ammaliata dalla sua presenza e intensità interpretativa. Da li a poco, la pandemia ci rinchiuse tutti in casa e a me venne in mente di ideare un format in diretta FB, insieme a Valerio Polverari, a cui diedi il titolo di IT’S MY DANCE. Il format, che andò in onda il 30 aprile 2020 nella sua puntata zero, vide la partecipazione di 9 talentuosi danzatori provenienti dalle migliori scuole di danza private italiane, tra cui Professione Danza Parma rappresentata da Nnamdi Christopher Nwagwu. In quell’occasione, dialogando con Nnamdi, ascoltandolo interagire con la giuria, e vedendolo improvvisare più volte, capii che quel ragazzo aveva molto da raccontare ed esprimere artisticamente.
Così divenne il mio opinionista in un programma sulla danza che condussi per una web tv nel 2020. Aveva solo 17 anni.
Di lui scrissi su FB: “Ricordatevi questo nome: Nnamdi Nwagwu e, se lo incontrate, chiedetegli un autografo, perché il suo nome sarà un riferimento nel mondo della danza”.
Nnamdi non è un ballerino per tutte le stagioni; ha un modo di danzare personale, calzato e adattato alla sua fisicità e ai suoi limiti che lui stesso, nella sua incredibile consapevolezza e umiltà, conosce perfettamente, tanto da lavorare su di sé per trasformarli in punti di forza. Nnamdi ha frequentato il liceo delle Scienze umane diplomandosi con 84/100 ed ha affiancato agli studi della danza l’attività di modello per potersi sostenere economicamente.
Attento osservatore di mode e tendenze, di madre lingua inglese, africano nell’animo tanto da commuoversi sino alle lacrime nell’assistere alla performance di un gruppo africano durante un evento alla KC Academy diretta da Carlos Kamizele e Cristiano Buzzi. Le sue origini sono il suo incipit. Tradizioni, famiglia, amici, riconoscenza, i princìpi che lo conducono.
A Lucia Giuffrida e Francesco Frola va la sua immensa riconoscenza per averlo sostenuto con borsa di studio e per averlo messo a contatto con persone, che nella sua vita, hanno fatto la differenza, ma soprattutto per avere investito su di lui come coreografo.
Andai a vedere il suo primo lavoro commissionato dal Balletto di Parma, What they see is not what we see. C’era tanto in quella coreografia, troppo; andava snellita, cesellata, ma il linguaggio era fresco, interessante. Nnamdi, come la maggior parte degli adolescenti, aveva troppe cose da mostrare, da dire. Non gli risparmiai le mie critiche, anche di questo fu felice, perché un’ amica deve saperti dire quello che non vorresti.
Scrivere di Nnamdi è molto complesso perché, inutile negarlo, è una persona a me molto cara, ma non potevo evitare di farlo: ogni suo risultato, ogni suo successo lo vivo un po’ come mio, perché l’aver intravisto in quel sedicenne quella grinta e quel talento, poi riconosciuti in grandi ambiti, mi rende felice.
Nel febbraio 2022, Nnamdi viene selezionato da Aterballetto per accedere ad un corso di formazione professionale destinato a 10 coreografi emergenti italiani, che avrebbe visto la chiusura del percorso in una serata conclusiva “Next Generation Choreographers”, svoltasi il 13 marzo 2022 presso la Fonderia di Reggio Emilia. Il suo lavoro, Plaza Serena, risulterà il più apprezzato dal pubblico e tra gli addetti ai lavori.
Poco dopo, in aprile, mi viene chiesta una consulenza per l’apertura del MIDO, la più importante fiera internazionale dell’occhiale a Milano, per trovare un professionista che potesse coreografare un brano inedito di Ennio Morricone. Non ho avuto dubbi: la mia scelta è caduta su Nnamdi. Dopo le prime perplessità sulla giovane età e il personaggio ancora sconosciuto al grande pubblico, sono piovuti copiosi i ringraziamenti per la mia scelta, a tal punto da immaginare e progettare un evento ben più grande.
Il linguaggio coreografico di Nnamdi attinge dalle origini africane, in una contaminazione di stili contemporaneo e classico, che lo rendendo riconoscibile ma soprattutto non omologabile ad altri coreografi. Le sue scelte musicali spaziano dalla musica classica, alle sonorità etniche, alla musica pop. L’impatto coreografico è avvolgente, basato su una formazione tecnica con solide basi classiche.
Dopo aver terminato il suo percorso di studio alla scuola Professione Danza Parma, gli viene offerto di entrare direttamente al secondo anno della Codarts a Rotterdam, percorso universitario tra i più prestigiosi in Europa proprio nella formazione professionale della danza contemporanea.
Nel mentre lo scorso 27 agosto, prima di trasferirsi a Rotterdam, Nnamdi viene invitato a Volta Mantovana per partecipare ad un Gala organizzato da Ilenia Montagnoli e Tommaso Renda, in collaborazione con lo Youth Grand Prix Italia. Qui Marc Ribaud, ballet master allo Stuttgart Ballet, gli consiglia di mandare i video dei suoi lavori al direttore della compagnia di Stoccarda, dove ogni anno viene organizzata una serata, la prestigiosa vetrina “Noverre”, ideata da John Cranko per valorizzare e dare spazio ai ballerini della compagnia desiderosi di cimentarsi nel lavoro coreografico, che in seguito è diventata anche l’occasione per individuare nuovi talenti; molti degli attuali grandi coreografi, quali Forsythe, Kylián, Goecke, vi presero parte.
Oggi quell’emozione è stata offerta a Nnamdi, che lo scorso 21 gennaio ha debuttato con una nuova creazione proprio alla serata voluta da Cranko.
Nnamdi, quando hai ricevuto l’invito, che emozioni hai provato?
Ovviamente gioia, ma anche la consapevolezza di avere una responsabilità grande, soprattutto verso me stesso e la costruzione del mio futuro. Una sfida che non potevo sbagliare.
Come hai ritenuto di muoverti, quali sono state le tue scelte e soprattutto cosa ti veniva messo nel piatto a Stoccarda?
Ho potuto scegliere di lavorare con qualsiasi elemento della compagnia, nessuno escluso, ho avuto a disposizione sala prove, sia della compagnia che della scuola, costumista, truccatrice, parrucchiere, sarte, light designer, stage designer, elementi scenografici e, per tutto il periodo delle prove, videomaker e fotografo.
Il lavoro che hai realizzato ha visto la messa in scena di due danzatori italiani, Riccardo Ferlito e Edoardo Sartori, una scelta voluta quella di due italiani o casuale?
Assolutamente voluta, ritengo che noi italiani abbiamo un modo di interpretare più intenso, più teatrale; saranno le nostre origini culturali.
C’è inoltre il messaggio di una società sempre più multietnica: Riccardo italo-giapponese originario del sud Italia, Edoardo del nord Italia, io italo-africano del centro Italia. Un modo per rendere omaggio al mio Paese e alle nostre eccellenze, che in Italia purtroppo non trovano spazi adeguati di espressione: anche nelle compagnie italiane più affermate, non ti vengono dati mezzi e materiale umano così di alto profilo.
L’Arte, lo spettacolo, gli artisti per poter crescere, per creare, hanno necessità di risorse e non solo di spazi dove esibirsi e il nulla prima e dopo. Spesso, in Italia, per creare ti devi affidare a professionisti amici che si immolano gratuitamente, nella migliore delle ipotesi, oppure a giovani talenti di scuole di danza senza esperienza: c’è una bella differenza tra creare in queste condizioni e quelle che ti vengono offerte a Stoccarda.
Da quale incipit sei partito nella tua creazione e perché solo due danzatori uomini?
Pur potendo lavorare anche con più elementi della compagnia, ho sempre desiderato creare un duetto per uomini.
Un giorno l’ho letteralmente sognato e ho deciso che lo avrei fatto: quale occasione migliore se non questa. Desideravo un processo intimo, perché ritengo di non essere ancora all’altezza di cimentarmi su una partitura più articolata e complessa. Mi è stato insegnato che la presunzione non porta lontano: amo osare e colgo le sfide ma sono pur sempre un diciannovenne che ha ancora molto da imparare.
Qual è l’esperienza che sino ad oggi porti nel cuore come ballerino e come coreografo?
Come ballerino, la settimana di studio ad Hannover con Marco Goecke perché ho avuto modo di approcciare al repertorio del mio coreografo preferito. Come coreografo, quando ho realizzato il primo lavoro su me stesso: avevo 14 anni e ho fatto un video su youtube per raccontare come il razzismo, ancora oggi, è espressione di parte della società. Il video ben presto è diventato virale.
Hai un appello che senti di voler fare?
Quando date spazio ai giovani, inserendo nei bandi l’obbligo al loro utilizzo, non riempitevi la bocca di meri enunciati che non hanno, poi, un reale profilo di opportunità. Dare spazio ai giovani significa fornire professionalità, strumenti e mezzi dignitosi, non creare finte reti alle quali bisogna necessariamente ricorrere per entrare in meccanismi umilianti, in cui ti viene proposto di aprire una serata a condizioni economiche imbarazzanti solo perché dovrai quantomeno ringraziare chi ti offre questa immensa possibilità di farti vedere.
Chi porti nel tuo cuore nel tuo cammino danzante?
Mia madre, in primis, che crede in me, mi sostiene e da sempre si sacrifica per dare opportunità ai miei sogni di realizzarsi, oltre a Lucia Giuffrida e Francesco Frola, il mio mentore e il mio riferimento; il maestro e coreografo Francesco Gammino, che ammiro per il suo straordinario lavoro coreografico e per la generosità nel trasmettere competenze e valori, persona di rara sensibilità, assolutamente privo di gelosie, cosa rara negli ambienti artistici.
Il lavoro di Nnamdi a Stoccarda è stato accolto dal pubblico con un entusiasmo da stadio, certamente il più applaudito della serata. Nnamdi ha portato in scena Abuo, che nella lingua nativa del gruppo etnico Igbo significa semplicemente due: un lavoro gioioso, non banale, che fa l’occhiolino all’arrivo della primavera, leggero ma irradiato da raggi di sole caldi e rassicuranti. I due interpreti giustissimi per rappresentare questo gioco fatto di ironie, ammiccamenti, complicità, con quelle linee precise e quella tecnica ineccepibile sapientemente smontata per lasciare spazio alle rotondità, allo scivolare, alla velocità, alla mimica facciale e al tempo stesso al rallentare per raggiungere un’immobilità che vuole mettere in evidenza l’immensità del movimento. Un omaggio all’amicizia, alla spensieratezza, al rapporto umano.
Un respiro profondo, in una serata decisamente interessante ma in cui, per l’ennesima volta, i coreografi preferiscono trascinarci nelle loro elucubrazioni mentali con quella pesantezza drammatica del movimento, oppure in dinamiche coreografiche già viste, che spesso e volentieri conducono alla noia.
Evviva allora Abuo, perché quando pensi che le palpebre potrebbero cedere, ecco che arriva una coreografia in cui la musica e l’originalità del movimento riaccendono l’attenzione.
Intervista pubblicata nel numero 382 di febbraio 2023
Monica Ratti