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Silvia Gribaudi

L'intervista
Quando
10/06/2022
Genere
L'intervista
Silvia Gribaudi, l'artista torinese incentrata sulla valorizzazione dell’unicità di ogni individuo. Con le sue creazioni coreografiche è riuscita a far incontrare danza teatro e comicità ottenendo sempre una riflessione diretta ed emozionale.
La sua ricerca mette al centro corpi diversi in continuo confronto con un assoluto comune denominatore "artistica forma estetica".


Nel suo linguaggio coreografico si incontrano spesso danza e ironia. Da dove nasce questa esigenza artistica?
Prima ho conosciuto la danza.
Da quando ero piccola amavo ballare e quindi ho iniziato a studiare danza classica, jazz, contemporanea finché la danza è diventata la mia professione.
L’ironia, l’umorismo, la comicità sono state delle scoperte che ho fatto grazie all’incontro con altri artisti che mi rimandavano che “facevo ridere”. 
Ho accolto questi feedback, ho provato a capire cosa facesse ridere di me, ho accettato di ricevere una lettura comica mentre danzavo nella mia serietà e tragicità e ho iniziato a studiare con alcuni insegnanti di clown per scoprirne i meccanismi.
Ho cominciato a costruire con il mio corpo dinamiche fisiche che mi divertissero e nello sperimentare giorno per giorno, aprendo agli altri la ricerca che facevo in sala danza, ho scoperto che le reazioni di chi osservava il mio lavoro erano di apertura o di totale chiusura. La posizione di chi guardava mi ha dato l’opportunità di prendermi la responsabilità di come portavo il mio corpo nel “mondo”. Nella vita di tutti i giorni e nel mio lavoro.
Ho scoperto verso i 28 anni che l’ironia e la comicità erano per me una voce rivoluzionaria: poteva infastidire o essere amata, ma in ogni caso mi faceva stare in una dimensione espressiva coerente. Potevo danzare, criticare, portare il mio punto di vista in modo costruttivo. La comicità per me è puro virtuosismo. É la capacità di fallire e rialzarsi, di trovare nuove soluzioni in ogni occasione, di trasformare le visioni sul mondo.
É un dialogo coraggioso con il potere e un linguaggio che nella danza riporta al contatto umano.
La mia esigenza artistica nasce da una possibilità: quella di tradurre in espressione coreografica il confine tra la forma e l’informalità, dove il gioco è la chiave per sorprendere.

Una sua nuova creazione parte in genere da cosa?

Ogni mia creazione parte grazie agli incontri con altri artisti e artiste, le discussioni, i dialoghi con gli organizzatori e organizzatrici.
Poi molto viene dalla vita di ogni giorno, da ciò che vedo in strada, dagli atteggiamenti umani.
Quando sono in sala, da sola, cerco di fare ordine nelle idee che mi arrivano come una bomba nel cervello e diventa necessario, per non impazzire, mettersi a dipingerle nel corpo per dar loro una forma tangibile.

E la scelta dei suoi danzatori?
Il modo di scegliere con chi lavorare cambia in base al progetto ed è una parte importante del processo creativo.
Per GRACES desideravo lavorare con Siro Guglielmi, Andrea Rampazzo e Matteo Marchesi per cui, semplicemente, ho chiesto loro di lavorare insieme e sono felice che abbiano accettato. Li avevo visti danzare in altri lavori e incontrati in molte occasioni e, oltre alla loro capacità tecnica, ho amato il loro approccio al lavoro e alla vita.
All’inizio abbiamo fatto una settimana di prove per capire se il gruppo poteva “funzionare” e così tutto è partito nel 2017 a Bassano del Grappa.
Anche con il progetto nuovo LES MONJOUR, che debutterà nel 2021, sono circondata da artisti generosissimi, umili e pieni di talento. In questo caso abbiamo fatto delle audizioni. Sapevo che desideravo lavorare con persone con una buona dose di ironia.
Ho cercato tra danzatori, attori, acrobati e mi sono poi fatta guidare dall’intuizione.

Come si relazionano i suoi danzatori nel momento delle prove?
Bisognerebbe chiedere a loro, ma quello che vedo è che diventiamo complici di un gioco.
Per me il performer è al centro del lavoro, ed è sacro. È colui, o colei, che si mette in gioco e che ha la capacità e la generosità di fidarsi di chi lo guida e di tradurne il vocabolario.
Se i danzatori non li vedo contenti, felici di danzare quello che propongo, comprendo che va rivista la direzione nella quale sto andando e va riorganizzata la ricerca del materiale.
Lavorare nell’ironia significa per me stare in un attento dialogo con la presenza del performer. Quello che si crea in sala è un profondo rispetto reciproco, pur all’interno del divertimento comune.

Da qualche anno lavora in molte città italiane con donne over 60. Come nasce questa esigenza e cosa regalano gli over 60?
Il lavoro Over 60 è nato da un’idea che mi propose Roberto Casarotto a Bassano del Grappa nel 2011, mentre poco dopo continuai grazie alla proposta di fare lo stesso progetto a Bologna con Daniele Del Pozzo all’interno di Gender Bender Festival.
Quello che ha permesso la crescita del progetto over 60 è stato il legame instaurato con le tutte donne che in questi 10 anni hanno partecipato nelle molte città italiane attraversate. È stato questo legame la bussola costante del progetto. Nel 2021 uscirà un documentario che racconta questo lavoro, prodotto da Festival Danza Estate e Festival Orlando Bergamo, in collaborazione con i centri di residenza dell’Arboreto a Mondaino e di Armunia a Castiglioncello. Avrà titolo OVERTOUR, con la regia di Andrea Zanoli.
Le donne mi hanno regalato la consapevolezza di un elemento fondamentale: non doversi preparare a essere qualcosa in particolare, ma semplicemente essere sempre pronta a offrire qualche cosa, a dare, a essere in prima linea o in ultima ma senza alcuna differenza. A poter vedere cosa vuol dire essere una Regina senza corona, a essere in azione dentro i pregiudizi, a essere vecchi in un mondo di giovani, a essere giusti anche quando ti fanno sentire sbagliato, a non avere paura di spogliarsi, mostrarsi, di poter mettere in discussione ogni regola, di avere il coraggio di guardare in faccia la vecchiaia, di stare nel tempo che esiste in quel preciso momento e basta a convivere con la perdita di potere e con la conquista dell’essere calma anche dentro alla velocità.
Le donne mi hanno sostenuta nell’avere fiducia in me stessa in tanti momenti in cui avevo perso la bussola e mi sentivo disorientata, con i progetti Over 60 vivi il presente e stai nel tempo, e questa è una delle preziose arti del clown.
 
Come definirebbe il pubblico della Gribaudi?
Non lo so. Spero chi ha voglia di stare bene. Oppure chi sta male, ma che possa trovare una visione di apertura che lo faccia stare meglio.

Parliamo di Graces la sua creazione ispirata all’opera “Le Tre Grazie“ di Antonio Canova. Quali sono i suoi interrogativi?
Le Grazie del Canova chi sono oggi? Che eredità ci hanno lasciato? La grazia e la bellezza hanno un genere solo? Cosa vuol dire fare uno spettacolo “bello”?
Per quanto riguarda la coreografia:
Dentro ad una azione coreografica quando è il tempo per ridere?
Le reazioni delle persone in platea accanto a te, quanto e come influenzano il tuo sguardo?
Come mai alcuni ridono e altri no dello stesso silenzio?

Ha portato le sue performance in spazi molto diversi tra di loro e spesso inusuali per la danza e il teatro. La considera una scelta o una necessità e  perché?

Mi piace ricercare l’essenza di un lavoro portandolo in luoghi diversi e capendo a cosa posso rinunciare senza che il senso venga perduto.
I luoghi influenzano lo spettacolo e le persone nei luoghi influenzano la performance.
Ogni volta modifico alcuni elementi della coreografia e dello stato interiore del performer nel modo di affrontare il pubblico. Cerchiamo di allinearci a chi abbiamo davanti. Quasi tutti i miei lavori iniziano calmi per dare il tempo a chi è in scena e in platea di “sintonizzarsi”.
Il tempo della complicità e del patto relazionale si modifica in base al luogo e al contesto, per cui trovo che sia un’esperienza arricchente artisticamente e umanamente scegliere location molto diverse e poter incontrare maggior numero di persone possibile con culture e abitudini differenti.

In questi anni cosa è cambiato nelle sue scelte artistiche?
Non sento di aver cambiato scelte artistiche, ma di continuare ad approfondire di anno in anno la mia intenzione di forma e stile coreografico.
 
Come le sembra la situazione della danza in Italia in questo periodo così complesso?
A me sembra che ci sia una grande rinascita di senso e di necessità nelle proposte della danza italiana.
Ci sono molti tavoli di discussione attivi ed un risveglio della “comunità“ di chi lavora nell’ambito della danza.
Mi auguro che questo periodo possa davvero conservare la fioritura di sguardi artistici rivolti ai processi di lavoro e non solo ai prodotti.

Il triste periodo del lockdown che sembra ripetersi, ha dato o ha tolto qualcosa nel suo percorso di ricerca?
Lavorare dentro la pandemia è molto stressante.
Noi, come tutte le compagnie di danza che hanno la responsabilità di tanti danzatori, riorganizziamo i tour mantenendo come priorità la salute di ogni persona.
Non ci fermiamo ma dobbiamo convivere con molti timori e complessità; tutto questo sicuramente modificherà il mio processo creativo.
In questo momento fortunatamente è possibile fare residenze, così mi prendo dei tempi in sala da sola. Sto trovando nuove possibilità nel corpo ed è un nutrimento poterle approfondire: siamo in una condizione di intimità in cui non possiamo scappare da noi stessi.

Cosa vorrebbe raccontarci che ancora non è riuscita a concretizzare?
Ho molti progetti, ma penso che ci sarà il tempo in futuro per realizzarli.
Al momento mi sto concentrando per essere pronta ad ottobre con l’uscita del nuovo lavoro LES MONJOUR che avrebbe dovuto debuttare nel 2020, ma che è stato rimandato al 2021 all’interno di Torino danza Festival.
Per ora aspetto.

Massimo Zannola